Viaggiatori di nuvole di Giuseppe Lupo
LA STORIA È IL LUOGO DOVE GLI UOMINI INVENTANO IL FUTURO:
“Più che nella menzogna della letteratura, credo nell’utopia o nel sogno della storia” scrive Giuseppe Lupo nel colophon dell’ultima pagina di “Viaggiatori di nuvole ” (Marsilio).
E il concetto di sogno e utopia è certamente fondamentale per comprendere la sua poetica.
Ma alcune pagine prima uno dei personaggi, il Vicerè francese Gilbert de Montpensier, rivolgendosi al suo scrivano di fiducia aveva detto: “Tu devi scrivere le mie memorie, altrimenti di questi giorni non che resterà che polvere”. Scrivere per “allontanare la morte” come dirà anche Chiara Gonzaga moglie di Gilbert: la letteratura, i libri e la scrittura come risarcimento, compensazione.
Infatti le pagine di Lupo non sono menzogna: sono realtà aumentata, all’ennesima potenza. Gratificano il lettore facendolo “fantasticulare” come dice un altro personaggio, Van Graan tipografo fiammingo, a proposito del suo lavoro di editore.
Il libro narra di stampatori, avventurieri, cavalieri, cortigiane, regine, mercanti e soprattutto di sognatori: i viaggiatori di nuvole appunto, sospinti dal vento (e il vento è un filo rosso che nelle sue svariate declinazioni attraversa tutta la vicenda), leggeri perché mossi dalla loro passione, all’inseguimento di un riscatto, di un cambiamento, curiosi e folli. Siamo alla fine del 1400, in un periodo unico e forse irripetibile nella storia, ideale per la scrittura di Lupo a volte vicina al realismo magico sudamericano: epoca di invenzioni e rivoluzioni, quando la simbolica era fondamentale, e il confine tra mito e realtà, tra vita e letteratura, tra storia e finzione labile, anzi inesistente.
“Questa faccenda pare scritta nel vento” dice ad un certo punto il protagonista: Zosimo Aleppo da Trebisonda, un giovanissimo ebreo che come il suo popolo crede nel libro e nel suo potere. Tanto da inseguire il Chierico Pettirosso, misterioso personaggio figlio di un orafo che porta nella bisaccia alcune pergamene: le ha viste Leonardo da Vinci rimanendone meravigliato e affascinato, tanto da sollecitare l’amico Van Graan affinché le stampi al più presto.
La lingua di questo libro è in parte netta, brevis direbbero i latini nel senso di essenziale, con una scelta lessicale molto rigorosa. E in parte è una lingua polifonica, inventa e mescola gli idiomi, le filastrocche, frasi rituali, parole tronche, dal castigliano di Esteban, l’hombre vertical, al francese del vicerè.
Perché il mondo ha tante lingue, ci parla in mille modi se sappiamo ascoltarlo, è un mondo dove, come dice il cavaliere Jacamotto, si può “morire per una rosa”, o per una parola. Così è facile leggere versi di poesia, righe esemplari: “Il primo volo del colombi al mattino sono le anime dei morti. Vengono a dirci che sono felici” dice il padre di Zosimo aprendo la finestra. Una lingua che ci aiuta a sognare, ad immaginare, a “fantasticulare” appunto.
Anche il libro è uno dei protagonisti di questo romanzo. Perché “I libri non sono carta cucita a carta, parole aggiunte a parole. Sono la cenere della coscienza, legna con cui bruciare i mesi e gli anni della nostra vita”.
Anzi i libro diventa una chiave di lettura, motore della storia, mezzo di conoscenza ideale, e insieme meta-libro perché ciò che leggiamo ci aiuta a decifrare ed ascoltare la sinfonia di un mondo nuovo, invisibile perché sognato e desiderato, eppure terribilmente vero.
Leonardo Sinisgalli, poeta ingegnere, autore a Lupo molto caro (nei giorni scorsi è uscita infatti per Laterza l’antologia da lui curata dal titolo: “La fabbrica di carta. I libri che raccontano l’Italia industriale”) ha detto: “Ciascuno di noi si porta appresso una casa e una città dove abita tutta la vita, l’altra vita. Quella del sogno, la più vera seppure la più labile”.
In questo romanzo siamo in un’epoca di passaggio, di invenzioni e scoperte, ricca di uomini che progettavano e sognavano, molto più di oggi dove manca un futuro. “Questo è un libro utopico”, ha detto Lupo, “mi piace il termine utopia: il mondo che verrà, il futuro. Se togli i sogni agli uomini non resta nulla. Io ho un’idea della vita come un sogno, non come fuga dalla realtà, ma come qualcosa che va oltre la realtà”.
Per Lupo “la storia è il luogo dove gli uomini inventano il futuro”: lo è anche per noi, sognatori, viaggiatori che sperano, credono in un futuro migliore, lo inseguono.
E intanto sono contenti di leggerlo e vederlo in libri come questo.