Un’e-mail a Giuseppe Pontiggia
Leggo tutto di un autore che mi piace. Anzi no: come ha confessato anche Alfonso Berardinelli a Fahrenheit su Radio 3, mi risparmio sempre qualcosa, una riserva, contando di riprenderla in tempi di “carestia”, di necessità.
Anni fa lessi l’intero forum dedicato a Giuseppe Pontiggia sul sito di Mondadori www.scrittorincorso.it: una bacheca dove tutti potevano lasciare un messaggio.
Lui non rispondeva: c’erano decine di messaggi e-mail, alcuni si arrabbiavano, si chiedevano che senso avesse quel sito se poi non c’era un dialogo. Siamo tutti un po’ condizionati da internet e dalla posta elettronica: ci piace questo mezzo veloce, ci illudiamo che sia sempre efficace, che sorpassi la posta ordinaria, che arrivi dove non è mai arrivato nessuno. Ma lui era troppo riservato, troppo impegnato, forse anche troppo anziano per rimanere davanti ad un computer e farsi conquistare da una giovane tecnologia.
Ricordo un messaggio che mi colpì molto. Era da parte di un suo ex alunno che nel 1971 frequentava con la moglie il liceo serale. Pontiggia aveva scelto di insegnare ai corsi serali del Comune di Milano per avere tempo di scrivere durante il giorno. Poi abbandonò anche l’insegnamento serale e si dedicò interamente alla scrittura. Ecco una vita coerente verso la scrittura. Ad una conferenza sottolineò che già alle scuole Medie aveva in mente di dedicarsi alla letteratura: mi ricorda quei bambini che dicono “da grande farò il pilota”, e un giorno incontri in uniforme a pilotare un volo delle tue vacanze. Perché anch’io avrei voluto essere così, con un’idea chiara e coerente a illuminarmi la vita.Questo suo ex alunno scrisse con sincerità che allora odiava il suo professore, perché si fermava a parlare con i migliori dopo la lezione e lui, che non ne era capace, si sentiva escluso, lo vedeva distante, e dopo la scuola non aveva mai letto i suoi libri, che iniziavano allora ad essere pubblicati, perché gli portava rancore e invidia.
Poi però, poche settimane prima, aveva visto un programma in TV dove Pontiggia parlava del suo ultimo libro “Nati due volte”. E l’aveva trovato interessante, aveva sentito parole intelligenti che l’avevano spinto ad andare alla Libreria Rizzoli sotto la Galleria Vittorio Emanuele. Alla proprietaria aveva raccontato del rapporto con il suo ex professore, e questa, che conosceva bene Pontiggia, gli aveva consigliato due libri aggiungendo che solo leggendoli avrebbe potuto capire.
Alla fine del messaggio e-mail l’ex alunno aveva chiesto scusa, perché per oltre trent’anni non aveva saputo capire l’uomo Pontiggia: “La prego prof. riempia questo mio grande vuoto con due righe”.
Ma lui non lo riempì e a quell’uomo resterà il rimpianto e la punizione di non aver capito.
Niente di strano, quante volte ci rendiamo conto, magari a trent’anni di distanza, di non aver capito, di aver frainteso. Ma è troppo tardi, ci sentiamo in imbarazzo con noi stessi e con quella persona, vorremmo riparare ma tutto è compromesso, passato. Siamo anche arrabbiati perché non avemmo la forza, il coraggio, la testa di andare oltre, di evitare la trappola della spiegazione più facile e più comoda per noi.
In quel messaggio ho visto anche l’altra faccia di Pontiggia: ho pensato che anch’io, se l’avessi conosciuto in un altro contesto, in un altro tempo, magari l’avrei evitato, odiato, snobbato, non capito, perché spesso servono alcune coincidenze: ciò che funziona in un determinato giorno e luogo potrebbe non funzionare più dopo, oppure non avrebbe avuto lo stesso effetto prima.
Sfogliando le mie vecchie recensioni sul Giornale di Brescia, mi sono accorto che una in particolare stava proprio accanto a quella di un altro giornalista che recensiva un libro di Pontiggia. Era il 1995: allora non conoscevo Pontiggia, magari non lessi nemmeno quella recensione, qualcosa mi aveva fatto avvicinare a lui ma io non l’avevo visto. Come succede negli incontri: quando ti innamori ti stupisce ricostruire il tuo passato e quello dell’altra persona e sapere che vi eravate già visti, eravate stati nello stesso posto e alla stessa ora – un concerto, una conferenza, un film – ma senza nemmeno notarvi, senza scambiare uno sguardo.
Tempo fa, in una recensione di un libro che parlava di Pontiggia, ho concluso con una frase emblematica: “E pensare che c’è ancora qualcuno che non conosce Giuseppe Pontiggia”, ma era provocatoria non snob, perché anch’io ero stato molto tempo senza sapere chi fosse e cercavo di rimediare.
La Libreria Rinascita di Brescia mi ha confidato che nel 1990 Pontiggia venne a Brescia a presentare il suo libro “Vite di uomini non illustri”. C’erano sì e no dieci persone.