LA SCUOLA CHE COLTIVA LE PAROLE CI DIFENDE DALLA DEMAGOGIA
Francesco Marinoni, Giornale di Brescia, 16 ottobre 2019
La scrittrice Maria Pia Veladiano torna su un argomento che le sta particolarmente a cuore, e le sue «Parole di scuola» (Guanda, 156 pagine, 14 euro) assumono un valore aggiunto a tutto ciò che sappiamo di bene e di male su questa istituzione. Il saggio, che è quasi una radiografia della scuola, scarno nella mole ma potente nei contenuti, potrebbe essere considerato una summa del pensiero dell’autrice, sui prò e i contro che lei ha vissuto in prima linea come insegnante e come dirigente scolastico. Abbiamo intervistato Maria Pia Veladiano, che dopodomani, venerdì 18, sarà ospite a Gussago della manifestazione Rinascimento Culturale, nella Sala Civica Togni (via Vittorio Veneto) alle 20,45. Perché la scuola ha perso credibilità nonostante l’impegno degli insegnanti? Qui bisogna ricordare, sempre, che la scuola gode comunque di una fiducia enormemente superiore rispetto ad altre istituzioni. L’ultimo rapporto Demos 2018 dice ch’essa ha la fiducia del 54% degli italiani. Viene subito dopo il presidente Mattarella, che ha il 56%. I partiti, per dire, sono all’8%. Quindi, malgrado tutto, le persone vedono che la scuola è mia realtà positiva nella vita dei figli. Certo, la politica degli ultimi (almeno) dieci anni ha investito la scuola di riforme successive che hanno trasmesso l’idea di una realtà malata, che non funziona, incapace di soddisfare richieste peraltro di volta in volta contraddittorie e anche improprie. Si è fatto un uso demagogico della scuola, intaccando un patrimonio di fiducia necessario per poter educare i ragazzi insieme alle famiglie. Gli insegnanti hanno lavorato, e stanno lavorando, in un clima sociale molto difficile. La parola abita le aule delle scuole. Ma come vive e convive con gli alunni, con i politici che dovrebbero sostenerne l’apparato e il corpo insegnanti per renderne più facile la diffusione? La scuola dà soprattutto le parole. Per comprendere il mondo e per esprimere la propria vita e realizzarla. In questo momento la scuola è tenuta ad andare controvento rispetto a un uso dissennato delle parole. Politica e media hanno perso il bene dell’argomentazione e usano l’asserzione, cioè il dire «le cose stanno cosi», come se si trattasse di evidenze tanto più vere quanto più vengono ripetute e gridate. La scuola che coltivale parole ci difende dal rischio della demagogia. È un presidio di cittadinanza libera. Meritocrazia non è una parola scolastica: ma com’è entrata nella scuola? Nel passato era una parola di scuola legittimata dal fatto che la scuola era fortemente classista. Poi c’è stata la lezione di don Milani e negli anni Settanta e Ottanta la scuola ha riconosciuto come proprio il compito di lavorare per l’equità, il che vuol dire semplicemente ridurre lo svantaggio sociale e culturale di partenza, dare a tutti l’opportunità di realizzarsi. L’istruzione è stato uno splendido strumento di mobilità sociale. Adesso la meritocrazia è rientrata, potente, nella scuola come effetto della nostra paura. La crisi economica ha innescato la paura che il futuro dei nostri figli sia peggiore del presente e si pensa che la selezione e il merito siano una specie di assicurazione sulla vita. Ma senza che prima venga rimosso il divario sociale ed economico in cui i bambini si trovano quando cominciano la scuola, il merito cementificale disuguaglianze e le «santifica» grazie alla buona reputazione di cui gode. Si sente dire spesso: prima gli italiani. Stupidità o egoismo? Direi ignoranza e paura, ancora una volta paura. Ignoranza per mille ragioni. Non si sa come definirli, questi italiani. Papà e mamma italiani? Solo papà o solo mamma è sufficiente? Figli di emigrati nati all’estero e arrivati a dieci anni senza conoscere l’italiano? Figli di immigrati che hanno la cittadinanza a vent’anni? Cominciamo a occuparcene allora? In realtà la scuola è il nostro laboratorio di convivenza Se si impara a convivere con tutti la società non esploderà, Armonia, per un progetto che non lasci fuori nessuno A scuola, integrare o includere: qual è la differenza? «L’inclusione – precisa Maria Pia Veladiano – sottintende che ci sia un mondo già bello e fatto, nel quale qualcuno va incluso. Integrazione vuol dire che quel mondo c’è solo quando tutti ne fanno parte. Ha a che fare con un’altra parola del libro, che credo sia una splendida parola di scuola anche se non la troviamo nelle circolari: l’armonia. Armonia è un progetto che non lascia fuori nessuno, non è un suono che prevale, ma un concerto. Esiste la classe così come nasce e su quella, concreta, con le mille diversità che offre, i docenti progettano l’attività. È proprio un altro modo di lavorare». sarà un luogo di vita possibile e bella. La competizione a scuola fa bene o crea e sviluppa assurde contrapposizioni? Tutti gli studi ci dicono che le classi collaborative sono anche quelle che ottengono migliori risultati sul piano culturale. Inoltre, il mondo del lavoro e della ricerca chiedono soprattutto capacità collaborativa. Non facciamo un buon servizio ai ragazzi esaltando l’aspetto competitivo. Lei ha svolto nella scuola vari incarichi: rimpianti, recriminazioni per il suo lavoro? Oh no! Ho potuto fare il lavoro che desideravo ed è un privilegio. Mi spiace aver lasciato il Trentino. Un errore. Se non l’avessi fatto, di certo sarei ancora a scuola, oggi. Non mi sarei sentita costretta ad andarmene dal servizio. La scuola è un meraviglioso mondo di servizio al bene comune, un luogo in cui si può fare la differenza.