La Porta: «Dante ci aiuta a fondare l’etica in modo non moralistico»
Giornale di Brescia, 13 aprile 2019
A Gussago si è parlato di un uomo del Medioevo che in realtà è di «disarmante attualità»
Cosi vicino, così lontano è il Dante di Filippo La Porta. Inattuale, nel suo essere profondamente uomo del Medioevo, ancorato alla visione di un universo armonioso e dotato di un ordine stabilito; ma allo stesso tempo di disarmante attualità, nel suo attraversare i tre regni dell’oltretomba continuamente in preda ad incertezza ed esitazioni (di cui è metafora il suo incespicare, cadere e addormentarsi, al punto che qualcuno ha ipotizzato che il poeta soffrisse di narco- lessia). «In questo suo dubitare di tutto, assomiglia a noi moderni» osserva il noto saggista, giornalista e critico letterario, che al Sommo poeta ha dedicato il libro «Il bene e gli altri. Dante e un ‘etica per il nuovo millennio» (Giunti), di cui ha parlato a Gussago per un’iniziativa di Rinascimento Culturale. «Non sono un dantista vero e proprio – si schermisce La Porta -, ma ho dialogato con Dante su un tema che mi sta molto a cuore: la fondazione dell’etica nel mondo contemporaneo. Perché dobbiamo agire bene? La risposta non è scontata. Dante mi ha aiutato a fondare l’etica in modo non moralistico». Nei versetti «Così la neve al sol si disigilla, così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla» è racchiuso «un senso così forte del divenire di tutto, anche dei sentimenti» da collocare l’autore della Commedia agli albori della modernità ben prima di Shakespeare o dei tre «teologi del sospetto» Nietzsche, Marx e Freud. Nel suo personale viaggio dentro la Commedia, La Porta si è fatto accompagnare dal «suo» Virgilio, o meglio dalla sua Beatrice: la filosofa mistica Simone Weil, la quale scrive: «È bene ciò che dà maggiore realtà agli esseri e alle cose, male ciò che gliela toglie»; dove quel «dare realtà» agli altri consiste nel «prestare attenzione a quel- laparticolare persona, farla esistere» ed è «decisione che ciascuno prende liberamente». Guidato da tale intuizione, La Porta rilegge i sette peccati capitali raffigurati nel testo dantesco, alla luce di un’idea morale di fondo: ciò che li accomuna è la medesima volontà di «togliere realtà al prossimo». Così, per esempio, il superbo si autoesalta al punto di ritenersi superiore a chiunque altro (disconoscendo la «comune discendenza del genere umano da un’Eva africana») o il lussurioso (pur non avendo Dante una «sensibilità ascetica» e non condannando in senso assoluto la lussuria, che, assieme alla gola, considera «peccato lieve») riduce la varietà dei piaceri terreni a uno solo, che si trasforma in ossessione. Dante ci viene in soccorso per ridefinire un’etica che non consiste nel seguire un precetto o nell’obbedire a un imperativo categorico, ma che ci per- mette «di far esistere il mondo». «Meglio l’essere del nulla – rileva La Porta -. È meglio un mondo affollato di creature come me, che ridotto a un deserto. Dare realtà vuol dire rispettare la libertà, la piena autonomia dell’altro». Il male si annida dunque nella sostituzione della realtà con una costruzione immaginaria (e in questa «ipertrofia» dell’immaginazione La Porta ravvisa tra l’altro il comportamento dei burocrati nazisti descritto da Primo Levi). Anche per i giovani. La Commedia fornisce anche un modello educativo peri giovani, immersi oggi in una cultura che ignora i valori dell’umanesimo. Nel Paradiso, Dante e Beatrice volano nel Cielo della Luna (chiamata «Margarita»), come il raggio di luce entra nell’acqua, pur essa «permanendo unita». L’allegoria richiama un’azione irradiante, che «non violi nulla»: una sorta di «passività ricettiva», che mantenga l’unità dell’essere cui ci rivolgiamo. Ed è appello ad operare una metamorfosi della mente e del cuore per «riconoscere le cose come sono» e recuperare quella «connessione misteriosa» fra il tutto, che si è persa nella modernità.