Barbero: La Grande Guerra è una parte della memoria di tutte le famiglie italiane

Giornale di Brescia - 21.09.2018 - Nicola Rocchi

L’eco di Caporetto non smette di risuonare. Alessandro Barbero ha pubblicato nel 2017 per Laterza il suo monumentale libro sulla più tragica disfatta italiana della Prima guerra mondiale («Caporetto», 656 pagine, 24 euro). Complice il centenario del conflitto, continua a girare l’Italia per parlarne. Barbero insegna Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale ed è molto richiesto, anche per le sue non comuni qualità di divulgatore. Il festival Rinascimento Culturale diretto da Alberto Alberimi l’ha chiamato nel Bresciano per tre appuntamenti, il primo dei quali («Come l’Italia entrò in guerra») si tiene stasera nell’Auditorium San Fedele di Palazzolo sull’Oglio. Domani e domenica, lo studioso parlerà nella chiesa parrocchiale di Erbusco, rispettivamente delle «ferite di Caporetto» e di «Vittorio Veneto fra propaganda e realtà». Tutti gli incontri, a ingresso libero, iniziano alle 20.45. Prof. Barbero, si può fare un bilancio di questo centenario celebrato tanto a lungo? In genere, il fatto che ci si metta a parlare di un argomento soltanto perché c’è un anniversario mi sembra una prova della superficialità della nostra cultura. In questo caso, tuttavia, trattandosi di un avvenimento enorme della storia mondiale e in particolare europea, il centenario è stato celebrato in tutta Europa con un forte coinvolgimento emotivo. Mentre altre pagine della nostra storia continuano a dividere, mi sembra che nel ricordo della Prima guerra mondiale le nazioni europee si siano unite. Benché allora ci fossero una spaccatura e un odio feroci, oggi quei sentimenti non li capiamo più. È stata l’occasione di nuovi studi e scoperte? Non direi che si siano ribaltate le conoscenze storiche, però ci sono stati moltissimi approfondimenti. Di una cosa, inoltre, mi sono reso conto personalmente. Alle presentazioni del mio libro su Caporetto veniva sempre qualcuno a dirmi: mio nonno era li, oppure mi mostravano lettere e diari conservati in casa… Ho compreso che la Grande Guerra è una parte della memoria di tutte le famiglie italiane, anche se per cent’anni se n’è parlato poco o niente. Con il pretesto dell’anniversario è emersa questa memoria commossa. Parlerà delle «ferite di Caporetto»: alcune arrivano fino ad oggi? Secondo me, si. Anzitutto, Caporetto è uno degli eventi che aprono la strada al fascismo, le cui spaccature non sono ancora del tutto guarite. Dopo Caporetto si apre un solco fra i generali – i principali colpevoli – e il sistema politico parlamentare, che gli ufficiali ritengono marcio e corrotto, incapace di governare col pugno di ferro. In quei loro discorsi si vedono le premesse del fascismo. Altre cicatrici aperte? Caporetto è ancora visto come il frutto della vigliaccheria dei soldati italiani, perché fu Cadorna stesso a dirlo. Infine, dopo Caporetto nasce una commissione parlamentare d’inchiesta che individuale responsabilità di molti generali. Non insiste, peraltro, sulle colpe di Badoglio. In un Paese come l’Italia, abituato alle dietrologie e ai misteri, i motivi di quel fatto vengono ancora discussi. Quale fu la «realtà» di Vittorio Veneto? Quella di una guerra che abbiamo vinto perché il nemico si è dissolto da solo. La nostra vera vittoria ha luogo nel giugno 1918, quando gli Austriaci provano a sfondare sul Piave e noi teniamo. A quel punto i giochi sono fatti, ma noi attacchiamo solo quando il governo ha chiaro che la guerra finirà in pochi giorni: se finisse col nemico che occupa ancora un pezzo d’Italia, alle trattative il nostro Paese farebbe una figuraccia.

GdB_21.09.2018_Barbero.pdf


Torna alla lista