Messe vs Fiera: Ancora una volta Germania batte Italia
Il rigoglio di un periodo economico potrebbe misurarsi dal numero delle fiere specializzate. Bilbao, Birmingham, Brno, Parigi: città che fino a pochi anni fa, con cadenza frequente, organizzavano le fiere di settore, di fatto moltiplicandole perché ogni nazione voleva la propria. Oggi in Europa la scelta si è ristretta spesso ad un unico importante appuntamento, annuale o biennale, mentre geograficamente sopravvive soltanto la Germania: Dusseldorf, Francoforte e, in misura minore, Hannover, Stoccarda, Monaco e Norimberga, si dividono le sedi delle principali fiere. Messe Dusseldorf, l’ente fiera di Dusseldorf, addirittura le esporta nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica, in Cina, India, Malesia, Tailandia, Singapore: replica le sue formule in nazioni dove gli abitanti viaggiano ancora poco, dove mancano l’esperienza e le istituzioni organizzative adeguate ma non il bisogno di un panorama globale e di uno sviluppo economico che – fin dalla rivoluzione agricola del Neolitico – passa ancora per il “mercato”, l’incontro personale, la contrattazione. È facile illustrare le virtù dei due grandi poli fieristici di Dusseldorf e Francoforte. Ma anche le città minori sanno ritagliarsi uno spazio con le fiere dei settori emergenti, di nuovi trend e tecnologie innovative. Ad esempio Norimberga accoglie a febbraio la fiera internazionale dei giocattoli, del biogas e degli alimenti biologici.
Dall’areoporto al Messezentrum, al centro fiera, il servizio della metropolitana è diretto, frequente e veloce, al costo di soli due Euro. Per chi arriva dall’autostrada alcuni chilometri prima della città grandi tabelloni digitali indicano il nome della fiera in programma. Non c’è bisogno di un navigatore, basta seguirli: collocati ad intervalli regolari in alto sull’autostrada, oppure a lato delle strade cittadine, ti guidano fino all’ingresso principale. A Dusseldorf i tabelloni a portale della tangenziale sono visibili anche sul retro, perché la mattina o la sera, quando il traffico in entrata e in uscita dalla fiera raggiunge il picco, all’occorrenza si inverte il senso di marcia di una carreggiata: per qualche minuto le auto occupano il totale delle quattro corsie favorendo un rapido deflusso.
Seguendo le indicazioni “fiera”, a seconda del casello autostradale di uscita, a Brescia si può finire al Centro Fiera del Garda di Montichiari oppure a quello di Brixia Expo. Bastano i cartelli stradali per spiegare la situazione italiana. Le nostre strutture sono in concorrenza, oppure hanno una capienza limitata, o ancora non sono riuscite a rinnovarsi. Tutte non hanno collegamenti razionali e rapidi con i vari mezzi di trasporto, raggiungerle con quelli pubblici è un’odissea di costi proibitivi, vari cambi e improbabili coincidenze. Le aziende organizzano l’accoglienza come possono, sostituendosi con la famosa flessibilità italiana ai servizi statali inesistenti. Non siamo riusciti ad imporci nemmeno nei nostri settori elettivi. Le ultime roccaforti tipicamente italiane, Macef e Vinitaly ad esempio, faticano, si restringono e soffrono la concorrenza tedesca di Ambiente e Pro Wein.
E pensare che la Germania non riesce a sfruttare quello che gli esperti chiamano “turismo improprio”: il turismo accessorio di congressi, fiere, viaggi di lavoro. Là infatti non c’è l’offerta enogastronomica, artistica, monumentale e paesaggistica che può vantare il nostro paese, e non si riesce a trattenere il visitatore. Solo noi sapremmo coniugare in modo ideale lavoro e divertimento, affari e relax, bon vivre e business. Una combinazione che avrebbe dato al nostro paese una ricaduta economica eccezionale.