L’impossibilità di contare sulla famiglia dà più forza ai giovani USA
Rischiosa la tentazione di paragonare l’America all’Italia.
Abbiamo sempre sotto gli occhi paesaggi, città e notizie che la riguardano: naturale idealizzarla, farne un punto di riferimento.
Non è la distanza a dividerci, ma le dimensioni. In virtù di grandi spazi, edifici e strade c’è bisogno di manodopera anche non specializzata per servizi, manutenzioni e riparazioni. Dunque tanti, pressoché tutti, possono avere un lavoro.
È il loro welfare: magari un salario basso, un’occupazione temporanea, ma la richiesta può impennarsi velocemente. Si perde e si riacquista un lavoro periodicamente: ogni volta ci si reinventa, si ricomincia, si cambia vita e casa, si torna a lottare per un riscatto.
La rapidità con la quale entrano ed escono dalle crisi è incredibile, endemica, forse unica al mondo: la vera “società liquida” del sociologo Zygmunt Bauman.
Dopo la grande crisi l’economia è tornata a crescere, la Casa Bianca annuncia che quest’anno c’è stato il più grande aumento di nuovi posti di lavoro dal 1998: ben 10,3 milioni negli ultimi 55 mesi, con la disoccupazione al 5,9%.
Un americano mi racconta la vita scellerata del padre: dopo aver gestito, acquistato e venduto fattorie nel mid West, ha comprato all’asta o su eBay una scuola elementare in Kentucky, un aereo militare, un elicottero, decine di auto d’epoca e trattori.
Li ha stipati in capannoni dismessi contando di revisionarli e utilizzarli un giorno. Sono tutti ancora là.
“Però prima o poi erediterai quei beni, e potrai rivenderli”, gli dico. “Non io, la sua seconda moglie”.
“Ma come, non c’è una quota di eredità legittima per i figli?”. “No, a meno che non faccia testamento andrà tutto alla seconda moglie”. Forse la loro forza, il loro sguardo sul futuro, viene anche dall’impossibilità di contare sulla famiglia: i vincoli di sangue sono più labili e temporanei dei nostri.
Visito uno stampista per plastica di Auburn Hills, Michigan, dove ha sede Chrysler: si condividono episodi ed esperienze di lavoro. Nota ironico che niente cambia nel mondo dell’industria, a parte la lingua. Tutti affrontiamo situazioni analoghe.
Ad esempio lamenta che nelle aziende automobilistiche è cambiata la generazione del personale: in ufficio acquisti, volutamente separato dalle officine per prendere decisioni più neutrali, ci sono oggi tanti giovani, soprattutto donne.
Non hanno però le competenze tecniche necessarie, non sanno cosa acquistano: macchine e stampi al pari di risme di carta e penne.
Lettera dall’Industria, pubblicata sul Giornale di Brescia del 20 Novembre 2014