L’amicizia ai tempi di Skype e Facebook
Carlos Castaneda diceva che se non potremo incontrarci di persona ci incontreremo nei sogni.
Per le nuove generazioni gli incontri sono invece quasi sempre virtuali.
“Ci sei oggi alle 15:30?” chiede un compagno di classe a mio figlio all’uscita della scuola.
“Certo!” risponde lui deciso. Gli chiedo: “Vi vedete a casa nostra oggi?”.
“No ci troviamo in rete per giocare a Minecraft in gruppo. Ci sono anche Angelo e George”.
Angelo è un italiano che vive in Francia, George è un rumeno che vive a Roseto degli Abbruzzi. Per fortuna almeno con George si sono conosciuti di persona: grazie a sua mamma (anche lei si chiedeva il senso di un’amicizia virtuale), è venuto a trovarci un weekend della scorsa estate.
Ma gli altri sono per lo più amici di Skype, e perfino con i compagni di classe il pomeriggio ci si trova on line. I giovani d’oggi non hanno barriere culturali, sociali e razziali, per loro vivere qui o altrove è pressoché lo stesso: è certamente un bene.
Ma di questo passo il fenomeno giapponese dell’Hikikomori, cioè gli adolescenti che hanno scelto deliberatamente di ritirasi in camera da letto e di isolarsi dal mondo, sarà anche italiano. Ai miei tempi ci trovavamo il sabato pomeriggio da un amico: uno metteva il Commodore 64, un altro portava i giochi di una semplicità grafica imbarazzante. Se allora avessi avuto la possibilità di giocare con i miei amici a Battlefield 3, nel realismo impressionante di quel gioco cosiddetto “sparatutto”, certamente l’avrei fatto con la stessa dose di dipendenza ed euforia di mio figlio.
Però credo, spero, l’avrei fatto fianco a fianco degli amici, non ognuno in camera sua.