La vecchia pasticceria cittadina, metafora del nostro esser bravi e di basso profilo
L’ultima pasticceria sopravvissuta nel centro storico di Brescia è la metafora della nostra genetica: siamo divisi tra l’amore per le arti e per ciò che si tocca, abbiamo una storia equamente illustre di industria e cultura, nonché un’attitudine al fare all’insegna del basso profilo, come già attestano gli antichi testimoni.
Plinio il giovane scrisse: “Brescia appartiene a quella nostra Italia che ancora trattiene e conserva sino a oggi molto dell’antica modestia, frugalità e schiettezza”.
La pasticceria è gestita da un’anziana e affabile coppia, di una gentilezza e una nobiltà d’animo ormai rari.
Molti, mi dicono, non ci vanno perché “mette tristezza”: le scansie sono vuote, l’arredamento è essenziale, sono poche le paste e i biscotti in esposizione (che però, all’occorrenza, vengono farciti o sfornati al momento, prelevandoli dal forno sul retro).
Se chiedo una quantità consistente di paste si accertano più volte che sia sicuro della richiesta, timorosi di vendermi ciò che magari non vorrei. Spesso ho avuto difficoltà a regolare il conto: quando non ho moneta mi dicono puntualmente che posso pagare un altro giorno, di passare quando capita.
Mi sembrano l’incarnazione dello spirito bresciano: onesto, sincero, generoso (siamo un esempio nazionale di integrazione, un caso mondiale nel volontariato, una delle città più ricche di mecenati e prodighi benefattori); operoso, intraprendente, concreto, con poche concessioni all’apparenza e tantomeno all’ostentazione.
Conta quello che si mette nel piatto, nel vassoio (e infatti le paste di quella pasticceria sono ottime).
Credo che la crisi degli ultimi anni sia da imputare anche all’aver rinnegato la nostra tradizionale attenzione alla sostanza, alla sobrietà e alla cautela.
Un tempo si facevano investimenti oculati sostenuti da mezzi propri, avversi come siamo (eravamo?) per natura alle speculazioni azzardate.
Oggi sento molte persone che si lamentano di commessi scorbutici, di servizi scadenti, di un nervosismo e una depressione generale, un senso di resa e pessimismo che fa a pugni con la millenaria tenacia dei bresciani che ci valse anche l’appellativo glorioso di “Leonessa d’Italia”.
Come scriveva la pagina Economia del Giornale di Brescia di alcuni giorni fa, Brescia rimane comunque “il miglior posto per fare innovazione, per realizzare idee”, con un mix di competenze eclettiche e qualità innate praticamente introvabili nel resto del mondo.
Eppure sembriamo, purtroppo, averlo dimenticato.