La mossa del cavallo di Tolstoj in fuga
Skira ha ripubblicato il libro di Alberto Cavallari sugli ultimi giorni di Lev Tolstoj: tanto essenziale quanto affascinante il breve saggio-romanzo del giornalista, ex direttore del Corriere e inviato di Repubblica, era già uscito anni fa per Einaudi. La sua riedizione sembra fare da sparring partner al recente “Tolstoj è morto” di Vladimir Pozner (Adelphi), un emigrè privilegiato che riuscì a tornare in Unione Sovietica negli anni Venti per raccogliere materiale sui giorni di Astapovo, nella stazione dove il grande romanziere russo trascorse una lenta agonia. In realtà è Cavallari ad uscire vincente con sole 100 dense pagine, arricchite da alcune fotografie che diventano emblematiche se osservate dopo la lettura del libro: il distillato di una lunga e appassionata ricerca storica e documentale combinata all’intelligente introspezione della complessa psicologia di Tolstoj. Le pagine riguardano tutte i quattro giorni che separano la casa di Jasnaja Poljana dalla stazione di Astapovo, il viaggio a zig zag, quasi come il cavallo negli scacchi, tra lettere, treni e carrozze che cercano invano di nascondere un uomo troppo noto. Gli ultimi sette giorni, nell’immobilità del letto, non sono interessanti: sono l’epilogo di una più importante e metaforica fuga. Fuga dalla famiglia, in primis dalla “velenosa” moglie Sof’ja, dalla sua volontà di dominio e controllo, dalle scenate di gelosia: i figli maschi e la moglie temevano che lo scrittore, ecologista, filantropo e vegetariano ante litteram, confermasse la decisione di devolvere all’umanità i diritti d’autore delle sue opere. A Cavallari interessa come fuggì Tolstoj, non come morì. Legge al contrario il gesto folle – folle come ci appaiono ancora oggi i litigi e le separazioni dopo una vita insieme dei coniugi anziani – di un ottantaduenne dopo 48 anni di matrimonio e tredici figli: estrema lucidità, atto di rivolta e libertà per ricominciare nonostante l’età, per ritrovare entusiasmo ed ispirazione, per continuare il ruolo di vate, di guida spirituale e letteraria dell’intera madre Russia nonostante l’avversione della chiesa ortodossa e della corte imperiale. Un tentativo commovente e coraggioso di affrancarsi dall’oppressione domestica che purtroppo condizionava anche la sua scrittura. Tolstoj, mentre al mondo appariva granitico e autoritario, lo sguardo ieratico e la barba del grande saggio, era costretto a nascondere i taccuini del suo diario negli stivali, affinché la moglie non li leggesse rovistando puntualmente nei suoi cassetti.
Sul letto di morte, in una stanza di fortuna messa a disposizione dal capostazione, mentre nel cielo passava la cometa di Halley, una notte Tolstoj si solleva e grida: “Scappare. Bisogna scappare”. Perché la vita ha sempre impliciti dentro di sé il cambiamento e il riscatto. Sia essa quella di uno dei più grandi romanzieri della storia che quella di un qualsiasi Levin, Anna, Nechljudov o Katiuŝa .
Alberto Cavallari
La fuga di Tolstoj
Skira, pagg. 110,
Euro 15,00