Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
Approfittando della nuova versione in due dvd con libro, ho visto con colpevole ritardo “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, premio Oscar nel 1971. La colonna sonora di Morricone colpì anche Stanley Kubrick, con quel mandolino della nostra tradizione popolare rivisto in modo geniale, suonato quasi fosse un clavicembalo, uno strumento elettronico.
Gian Maria Volontè recita in modo magistrale, ideale: è iconico, una maschera (mi ricorda il Servillo de “Il divo”), e nella esemplarità del ruolo sembra vestito da uno stilista dei nostri giorni, Paul Smith o Costume Homme.
L’architettura è quella degli anni 70, a tratti surreale, una Brasilia dei poveri, una città metafisica ma immaginata da architetti dilettanti. Con scorci a volte da film fantastico, altre addirittura fantascientifico.
Tanto che la frase tratta da Kafka a chiusura del film: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”, è perfetta, perché sigla idealmente un’ambientazione spesso senza tempo, in un contemporaneo geometrico, essenziale, come appunto nei romanzi kafkiani.
Il film sarebbe piaciuto allo scrittore praghese: parla soprattutto dell’esercizio deviato del potere, un potere folle e presuntuoso che rimane impunito seppur palesemente colpevole, seppur voglia e chieda di essere scoperto nella sua colpa, forse perché si sente inadeguato al compito.
Ma il messaggio chiave è ancora più assurdo: a volte, la verità è lì, evidente, davanti a tutti, basterebbe afferrarla, ma nessuno la vuole riconoscere, la vuole accettare, perché farlo comporterebbe una serie di complicazioni, energie e cambiamenti, fatiche che nessuno – perché pavido, pigro, in una posizione di rendita immeritata – vuole affrontare.