I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante
Non si sa assolutamente niente di Elena Ferrante. Di lei – e di questi tempi è quasi un sollievo – rimane esclusivamente il testo. Ammirevole la sua riservatezza, la distingue in un mondo dove la visibilità è l’unica prova del nostro esistere e illude di un’ubiquità e un’immortalità che invece solo la letteratura può dare. E questo sarà proprio un altro libro che ci sopravviverà. Una lingua pulita e affilata, una sorta di circolazione extra sanguigna che garantisce la lucidità anche nei momenti dove non c’è più senso né coerenza, mentre in prima persona una donna abbandonata dal marito e dalla ragione annaspa alla deriva e la sua storia, il suo intinerarium mentis diventa la metafora della crisi della donna contemporanea, che accantona i talenti e le aspirazioni personali, è divisa tra la famiglia e il lavoro, costretta spesso a ricominciare a quarant’anni, con i figli e senza il marito irrimediabilmente perso nella crisi di mezz’età e tra le cosce di una ventenne. Ammirevole lo sguardo nitido e impietoso: non c’è mai complicità, la legittima solidarietà femminile, anzi si prova fastidio per l’indifferenza moraviana del marito-padre, ma soprattutto per la reazione della moglie-madre, dissociata, custode della propria follia in una casa nell’estate torinese che sembra l’albergo isolato dell’inverno montano di “Shining”.
Come ne “L’amore molesto” i fluidi, gli odori, i colori della materia, della carne, marchiano la mente in istantanee memorabili, diventano il segno di riconoscimento di un territorio che prima che letterario è vivo e pulsa davanti a chi legge. Il sesso, argomento che in genere gli scrittori, impauriti, avvicinano con circospezione, rivela quel lato crudo e frustrante che solo gli uomini credono di subire.
Nelle ultime righe la narrazione precipita con l’intensità della poesia, il vortice si ferma e sancisce la traumatica rinascita di chi deve morire spesso per vivere molto.
Elena Ferrante
“I giorni dell’abbandono”
Edizioni e/o, pagg. 211
Euro 14,00