Going digital piuttosto che going postal
Ancora una volta avevano ragione alcuni senior quando, qualche anno fa, esprimevano dubbi e perplessità sullo stravolgimento dei valori, mentre con euforia si sollecitava a quantificare gli “immateriali”, a mettere a bilancio la “brand equity”, a compilare business plan basati sugli elenchi telefonici perché chiunque era un potenziale, e presto reale, cliente dei nuovi prodotti internet.
Dopo l’eccitazione della new economy si torna a parlare di aziende manifatturiere, reali e non virtuali, basate su solidi mezzi propri, produttrici di beni durevoli, da lodare se sapranno dare un reddito ragionevole, cioè contenuto, tipico di qualsiasi attività, equiparabile a quello che può dare la coltivazione di un terreno agricolo, dopo le rese straordinarie ma ingannevoli di aziende spregiudicate sorrette da una finanza complice.
Anche la gloriosa Inghilterra, dopo aver abdicato all’egemonia manifatturiera in favore di servizi e finanza, torna a parlare di re-industrializzazione. Ad esempio si rende conto di quanto sia stato scellerato perdere la “motor industry”. Eppure erano riusciti a convincere anche i concorrenti giapponesi a scegliere quella nazione per i propri stabilimenti-ponte in Europa, offrendo una tradizione secolare e un attrezzato indotto di supporto. In un recente viaggio in quel paese un imprenditore che rifornisce l’automotive mi ha confessato con amarezza: “…ora che siamo una nazione low-cost, con la Sterlina svalutata e parificata all’Euro, non abbiamo più aziende che possano offrire qualcosa al resto del mondo”.Se ne è reso conto anche il Presidente Obama che ora legge i rapporti di interi settori e distretti scomparsi o de-localizzati in un solo decennio, mentre pensa a piani di recupero per l’industria locale, vorrebbe riportare in patria la creazione, intesa proprio come produzione, di valore. Dal punto di vista industriale l’America è ormai diventata come le etichette dei vestiti dei propri stilisti: “Styled in U.S.A. – Manufactured in China”.
Ma la giusta via è forse un compromesso, ciò che Franco Momigliano indicava come “neo industria” già alcuni decenni fa: un’industria che sia in grado di assimilare la rivoluzione informatica e il progresso tecnologico.
Stiamo attraversando un periodo intermedio: le nuove procedure sollecitate dalle opportunità delle innovazioni comportano anche una spesa maggiore, un ulteriore appesantimento. La virtualizzazione, la de-materializzazione, il digitale, avanzano portando nuove occasioni di business, efficienza e servizi migliori, ma è un processo a volte lento, che spesso coesiste con quello tradizionale raddoppiando di fatto le informazioni, creando confusione.
Ma il famoso motto “going digital” – forse il più rappresentativo degli ultimi anni – non farà il verso al “going postal”: dopo alcune stragi compiute da chi, negli Stati Uniti, diceva “vado all’ufficio postale”, è stato coniato il motto “going postal” per indicare un improvviso raptus di follia tipico di questi tempi frenetici e alienanti, carichi di stimoli e informazioni. “Going digital” sarà piuttosto un gesto indispensabile, normale, integrato nel nostro quotidiano e attraverso il quale avremo sempre maggiori benefici.