Diario americano dagli stati del sud – 3a parte
3a parte
La Tv americana si chiede come attirare nel mondo del lavoro i “millenials”, i nati tra il 1980 e il 1995. È la cosiddetta “generazione Y”, post baby boomers, poco sensibile all’autorità e all’impegno continuato, desiderosa di autonomia e libertà, appassionata di tecnologia e mondi virtuali ma difficile da trasformare in operai e impiegati. Sono dibattiti patinati che deviano dalla realtà. Più che ammansire e assecondare i capricci delle nuove generazioni si dovrebbe invitarli a diventare responsabili, ad un maggior impegno e rigore.
I loro genitori sono “underwater”, sott’acqua, come si dice di chi ha un mutuo che ha un importo superiore al valore reale della abitazione. Spesso il valore in costante crescita delle case veniva utilizzato per negoziare un prestito ipotecario, un home-equity loan. Ma con i prezzi delle case in caduta molti non potranno ottenere un prestito, ad esempio per pagare le spese di istruzione universitaria dei figli che in America sono molto alte. Alla radio i vari “show” che hanno il nome dell’intrattenitore (seppur non famoso come Letterman e Leno) riguardano i problemi finanziari: chi chiama illustra la propria situazione debitoria e salariale e chiede un consiglio.
Spesso l’esperto si limita a rassicurare, a suggerire di vendere il Suv per un’auto più economica, di evitare la settimana di vacanze a Disney World. Molti hanno una preoccupazione ingiustificata. Altri invece raccontano di situazioni limite e la raccomandazione diventa quella di garantire almeno il cibo e le spese di energia elettrica e acqua ai figli, oppure come ottenere un’agevolazione fiscale.
Negli Stati del sud le aziende che resistono sono l’immagine di un’America lontana dalla Silicon Valley, dalla City della finanza e dai serial televisivi. Però vera, più significativa di tanti luoghi comuni, vicina a nazioni meno illustri e famose di quella americana. Tra l’altro anche la Silicon Valley sta perdendo cervelli stranieri che ritornano nei loro paesi d’origine dove trovano migliori opportunità di lavoro.
Il più grande produttore americano di piccoli motori per generatori, pompe, tosaerba e compressori ha uno stabilimento produttivo a Statesboro in Georgia. “We protect what we got” afferma uno dei responsabili della produzione, cioè “proteggiamo ciò che abbiamo”, tengono la posizione in attesa di tempi migliori. Al momento hanno dati confortanti: sono oltre il break even, producono più di quanto serva per pagare tutti i costi. Negli ultimi mesi hanno attinto dalle scorte di magazzino riducendole di due terzi, e ora devono ripristinarle se vogliono garantire la distribuzione stagionale di certi prodotti (tra qualche mese, ad esempio, negli Stati del nord ci sarà una forte richiesta di spazzaneve da giardino)..
Temono la concorrenza dei sud coreani, naturalmente dei cinesi, ma di quelli che imitano i motori giapponesi non i loro americani che sono di qualità inferiore rispetto agli standard nipponici. E infatti dovrebbero rinnovare un parco macchine di fonderia che ha una media imbarazzante di trent’anni di età. Il più grande produttore di motori elettrici industriali è a Fort Smith in Arkansas. Ha deciso di rimanere e produrre in America, a differenza di molte altre aziende manifatturiere americane investe ogni anno in nuovi macchinari, anche per aumentare la flessibilità, gestire, se necessario, ordini di piccoli lotti personalizzati: una scelta che lo sta premiando e suggerisce al resto dell’America che soffre la ricetta per sopravvivere alla crisi.
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