Brescia città provinciale
Si definisce spesso Brescia come “provinciale”. Cosa vuol dire esattamente? Siccome non mi piace riportare opinioni altrui o notizie di seconda mano, provo a raccogliere quanto è successo a me. Gelateria famosa per una crema di vaniglia, in centro città. La chiedo goloso. Non è disponibile, la servono solo in certi orari. Torno allora più tardi, all’orario giusto: “Sul cono grazie”. No, non è possibile averla sul cono. È la regola mi dicono: quella crema non va confusa con la cialda. “Ma a me piace molto abbinare gelato e cialda”, cerco di replicare. Mi dispiace, non è possibile. Esco deluso.
Vedo, nella vetrina del più famoso negozio di abbigliamento del centro città, una bellissima giacca. Entro a provarla. Mi guardano con sufficienza, sembrano farmi un favore. È l’ultima disponibile, la tolgono dal manichino in vetrina. Mi va bene, taglia 46, difficile trovare qualcuno così magro penso, siamo a fine estate, è molto costosa, dunque chiedo: “è in saldo?” No, di questa marca non facciamo mai i saldi. “Ma nemmeno in questo caso, siamo a fine stagione, e poi è l’ultima…”. Mi risponde con un no perentorio, non aggiunge altro. Esco deluso.
Vado nella pizzeria più glamour della provincia. Ci sono due orari di arrivo: 19:30 con tavolo libero alle 21:00, oppure le 21:00. Prenoto per le 21:00. Mi libero prima e mi presento alle 20:10. Chiedo se c’è comunque posto. No, mi rispondono. “Eppure c’è chi entra e si accomoda ora, alle 20:10”, replico. “Sì ma scaglioniamo, qualcuno lo facciamo venire alle 20:30, per distribuire meglio gli arrivi…”: una ragazza molto gentile mi spiega le regole degli arrivi e delle prenotazioni ma dopo poco non la seguo più. Esco deluso e per quasi un’ora vago nella provincia più depressa: i bar sono chiusi, ne trovo soltanto uno aperto frequentato da neri e sudamericane un poco ambigue, rimango in un parcheggio con la macchina accesa perché fuori fa freddo, giro più volte sulle rotonde immerse nella nebbia per far passare il tempo, in attesa che arrivino le 21:00. Mi sento un cretino.
Non frequento più le discoteche da tempo e non so se valgono ancora “le liste”. Si arrivava all’ingresso e ti chiedevano immediatamente: “sei sulla lista?”. Se non lo eri non entravi.
Se mio nonno fosse stato su una lista sarebbe morto in un campo di concentramento.
Sono episodi che mi sembrano indicatori di uno snobismo sbagliato, di un finto esclusivo ed elitario che ci illude di essere migliori, protagonisti, diversi, unici, speciali, soprattutto distanti dalla massa della quale invece puntualmente facciamo parte, molto spesso nel modo più idiota e conformista.