Autobiografia del signor Stendhal

C’è un verso del poeta Massimo Ferretti scomparso prematuramente:“Il mio complesso è una tragedia antica:/devo scrivere e vorrei ballare”, che riassume l’impossibile compromesso tra vita e scrittura. “Se avessi vissuto tutto quanto ho scritto, non avrei avuto il tempo di scrivere” disse appunto Anne Sexton.

Stendhal inseguì per tutta la vita questo dilemma, tentando di conciliare la bibliofilia (diceva di aver posseduto solo libri, e non mancava mai di catalogarli nel suo bagaglio inseparabile), il fuoco della scrittura, la voglia di vivere, la battaglia da spettatore, l’amore per decine di donne e i viaggi, soprattutto in Italia, dal 1800, come ufficiale al seguito della campagna napoleonica e poi console a Civitavecchia.
Per qualche mese fu anche bresciano, aiutante di campo del maresciallo Michaud, ospite dei salotti mondani di varie famiglie nobiliari in alcuni palazzi del centro, vicino ai  portici che definiva il “Palais-Royal” della città, come sempre protagonista di rivalità e gelosie che coinvolsero amanti e conti locali, e furono citate con partecipazione nei suoi diari. In particolare fu colpito dalla signora Calini, “che abita nei pressi della porta di Milano, casa Calini alla Pace”, e dalla signora Martinengo, una donna “abbastanza bella”.
I suoi libri, fantasticati da molti scrittori tra i quali soprattutto Sciascia, divennero anche il rifugio di annotazioni e commenti a caldo durante la lettura, di illuminazioni e pensieri raccolti per la prima volta in italiano in questo libro “abusivo” che nemmeno lo stesso Stendhal riuscì a vagheggiare. Sono definiti “Marginalia”: umile termine che ricordando le nugae petrarchesche: in realtà cela, soprattutto per gli stendhaliani, una miniera parallela di piccole gemme incastrate tra i fogli della sua biblioteca dispersa.Forse assumono maggior significato per i suoi ammiratori, forse andrebbero pubblicate con la pagina stampata che accompagnano, forse è irriverente e un poco morboso spiare anche le sue note: infatti non sono tutte interessanti come l’attenta e densa introduzione di Giuseppe Marcenaro, salvo riscattarsi in alcuni lampi che condensano in pochissime parole, addirittura nel lembo fisico dove sono stati vergati, la sagacia e intelligenza dello scrittore francese, perché un genio ha le sue legittime intermittenze ma dispensa saggezza anche nelle pause.

Ad esempio “Prima regola. Essere se stessi” si scopre solo con il libro chiuso, non sul piatto o sul dorso, ma sul taglio, luogo invisibile perché siamo naturalmente portati ad aprire il volume, ad entrarci subito, come sottolinea con sensibilità Marcenaro. E così la regola scompare “nello spessore ipermillimetrico di ogni pagina”, si rivela solo da un lato anomalo, e per questo è una rivendicazione forte d’identità, una sorta di  mezzo che si fa messaggio un secolo e mezzo prima dell’analisi di McLuhan.

Oppure “Mi leggeranno nel 19..” è una rivincita preconizzata sul successo che non riuscì a godersi da vivo per un precoce colpo apoplettico; e ancora “Il canone è la morte” insieme a “Mai rimorsi” sono i motti di un’intera esistenza, mentre “Buongiorno occhiali, addio ragazzine”, scritto a cinquantaquattro anni, è un filosofico e saggio congedo al frenetico bon vivre.

Tra omaggi all’Italia, pseudonimi e doppi letterari, c’è spazio anche per mini autoritratti che sono insieme ironici manifesti del Romanticismo: “Non smette mai di sognare; la sua pena più grande è staccarsi da questa fantasticheria”.

Sulla tomba volle un’epigrafe che, mescolando nomi letterari e reali, sembra un tentativo di conciliazione postuma delle diverse passioni: “Arrigo Beyle, milanese, visse, scrisse, amò”.

Stendhal
“Autobiografia del signor me stesso”
A cura di Giuseppe Marcenaro
Il Melangolo
Pagg. 237
Euro 18,00

28 Aprile 2011


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